I successi dei tiratori azzurri sono un crescendo e ogni olimpiade ha puntato un nuovo riflettore sul nostro sport. Ricordo quello che è capitato dopo le medaglie di Londra 2012, quanto c’è stato un boom di persone che si sono avvicinate a questo meraviglioso mondo, anche solo per pura curiosità.
In passato scendeva in pedana solamente chi aveva un papà già tiratore, uno zio cacciatore, un parente o un amico di famiglia che comunque conosceva bene di cosa si stava parlando.
Ora è tutto diverso.
L’attenzione è oggi molto alta e il primo, grandissimo, merito va alla Federazione, che sta facendo un importante lavoro per tenere vivo l’interesse mediatico sul tiro a volo. Soprattutto a ridosso di ogni olimpiade. Poi, un altro grazie va ai nostri campioni, che a suon di vittorie contribuiscono al medagliere nazionale, mantenendo così l’Italia ai vertici mondiali.
Gli amici di ShootingPost mi hanno chiesto un intervento sul come creare una routine sportiva di successo, ma prima di tutto vorrei inquadrare alcuni aspetti sul modo efficace per muovere i primi passi in un campo di tiro.
Intanto fughiamo qualsiasi dubbio: il tiratore autodidatta non esiste. O per lo meno, il “fai da te” nel nostro sport è controproducente. Il primo consiglio che dò quindi a tutti quelli che vogliono cominciare, è di mettersi fin da subito in contatto con un istruttore.
È un pò come pensare di infilarsi per la prima volta un paio di sci e scendere con facilità da una pista nera. È impossibile, ci faremmo sicuramente del male. Lo stesso vale per il tiro a volo. Non basta comprare un fucile per scendere in pedana e cercare di rompere tanti piattelli Sarà una impresa che ci porterà via tanto tempo ed energie.
Bisogna apprendere da un tecnico preparato, che già dai primi mesi di lezione ci insegnerà i rudimenti e la tecnica base per rompere i primi piattelli e divertirci. Il divertimento è l’anticamera della passione.
Impariamo il tiro a piattello: cosa deve fare un neofita
Con quale disciplina iniziare?
C’è solo una risposta alla domanda su quale sia la disciplina più facile per un principiante: nessuna. Ogni specialità è diversamente difficile.
A chi mi pone questa domanda, suggerisco sempre di provare sia il trap che lo skeet. Nel trap non sappiamo mai dove andrà il piattello, ma abbiamo due colpi; nello skeet conosciamo la direzione del piattello, ma partiamo con il fucile non in spalla ed in alcune pedane con due colpi dobbiamo rompere due piattelli insomma, i gradi di complessità sono diversi ma bilanciati.
Non consiglio più ormai di iniziare con il double trap, specialità a cui sono molto affezionato ma che ha perso l’interesse generale, non essendo più una disciplina olimpica.
Un buon compromesso potrebbe essere il trap 1 che è l’evoluzione trap americano, che può dare soddisfazioni al principiante, aiutandolo ad apprendere bene i rudimenti. Qui, infatti, i piattelli sono più lenti e raggiungono minori angolazioni. L’allenamento è allora adatto al neofita.
Purtroppo, non tutti i campi da tiro sono attrezzati per questa variante, anche se c’è molta richiesta.
Quanto alle capacità individuali, penso che trap e skeet condividano la stessa preparazione fisica. Ma la nostra mente può davvero fare la differenza più nello skeet che nel trap. Lo skeet richiede una concentrazione tale che se in pedana si iniziano ad inanellare anche pochi zero si è già fuori dai giochi. Non sono concessi errori.
Allenati sui singoli piattelli, non sulla serie
Da quando il double trap non è più disciplina olimpica mi sono dedicato ai ruoli tecnici, iniziando ad allenare nel trap. Molti neofiti per prendere dimestichezza sparano su una serie da 25 bersagli, poi si fermano e ragionano sui risultati. Per me è sbagliato.
Prendiamo proprio il trap, dove ci sono diverse angolazioni, traiettorie, altezze. Bisogna fare in modo che, piattello dopo piattello, l’atleta migliori la propria percezione, creando una memoria muscolare che gli permetta in seguito di effettuare un movimento specifico con una certa velocità e tempo. Così raggiungiamo fin da subito il bersaglio con un’esecuzione studiata, consolidata, perfetta.
Non lavoro mai nei primi allenamenti con serie complete, ma mi focalizzo sul far nascere nel tiratore automatismi che non sono certo assoluti (sono sempre in funzione della traiettoria) ma consolidano l’abitudine che poi faciliterà il movimento.
Dalla chiamata del piattello allo sparo passa in media meno di mezzo secondo. In questo minuscolo lasso di tempo bisogna capire dove andrà il piattello e dove intercettarlo.
Nello skeet molta della preparazione tecnica avviene anche a casa, visto che la fase di imbracciata deve essere assolutamente automatizzata. Esercitatevi, quindi, ad imbracciare il fucile immaginando un bersaglio da colpire.
Prendiamo bene la mira: differenze tra trap e skeet
Trap e skeet sono diverse anche per i metodi utili a frantumare il piattello. Vediamoli:
Trap
In passato si faceva uscire il piattello e lo si superava per creare l’anticipo. Ma prima i piattelli erano più lenti e la rosata importante. Secondo la mia esperienza è invece giusto leggere il piattello e iniziare un movimento sulla stessa traiettoria. Quando abbiamo la percezione che il mirino della canna sia sull’obiettivo, senza fermarci dobbiamo lasciare il colpo. Il tempo impiegato dal cervello per “azionare” il dito crea un anticipo naturale. È un ritardo che fa sì che il fucile passi avanti quel tanto che basta per rompere il piattello.
Skeet
Ogni pedana di ogni piattello ha il suo anticipo preciso. Il tiratore di skeet imbraccia molto velocemente il fucile e in questo modo si trova davanti al piattello con le canne. Mai sul piattello. A questo punto il tiratore riesce a controllare sempre il bersaglio quel tanto che basta per centrarlo. Sembra impossibile, vista la frazione di secondo a disposizione: la pratica fa sì che questo lasso così stretto di tempo si dilati e sia quindi sufficiente a frantumare l’obiettivo.
Un discorso che possiamo fare per entrambe le discipline riguarda la vista: per prendere la mira è meglio tenere entrambi gli occhi aperti. Sembra facile ma non lo è.
Negli ultimi 15 anni ho incontrato tantissimi tiratori che sono destri di mano ma con l’occhio sinistro dominante. Non so per quale motivo, ma credo che questo fatto sia influenzato dall’avvento delle tecnologie, con i monitor che hanno cambiato il nostro modo di osservare.
Ma non basta la vista, i piattelli si rompono anche con il cervello. Questo famoso minuscolo lasso di tempo che intercorre dalla chiamata allo sparo può venire superato se si è preparati. Una mente allenata riesce a “rallentare” quello che c’è intorno a noi. Il tiratore professionista sa di aver centrato il piattello già prima di premere il grilletto.
Tre errori da evitare
1. La routine non è solo scaramanzia
Veniamo ora alla routine, quella che ci accompagna dall’ingresso al campo fino allo sparo. Focalizziamoci ora sulla preparazione psicologica e mentale che bisogna allenare.
Chi è bravo a crearsi il film della gara nella propria testa, ripeterà nella realtà tutto quello che si è prefissato. Automaticamente. In questo senso hanno un significato tutti quei gesti e movimenti che i tiratori sono soliti svolgere. La routine non è “fare gli scongiuri”, quanto seguire delle precise abitudini che poi ci aiutano a ricordare quello che dobbiamo eseguire nel momento in cui imbracciamo il fucile.
È utile inoltre controllare la respirazione. Non ai livelli del tiro a segno, dove si spara praticamente in apnea e si preme il grilletto tra un battito e l’altro per evitare qualsiasi minimo spostamento dell’arma. Nel tiro a volo ci sono però tecniche che agevolano la concentrazione.
2. Diffida dell’autodidatta
È difficilissimo, quando si è con la testa appoggiata sul calco del fucile, capire dove si sta sbagliando. L’attenzione del tiratore è quasi sempre tutta concentrata sulla rottura del piattello ed è complesso ragionare a posteriori su quello che è successo nel momento della chiamata, durante la partenza o nello swing del fucile.
Quindi ritorniamo sull’importanza di un istruttore, che possa suggerire come muovere il fucile, come portare le canne al bersaglio… insomma come perfezionare i movimenti.
L’autodidatta tende a fare valutazioni sbagliate e quando si prende un’abitudine errata sarà un’impresa cancellarla. Anzi, il rischio è quello di innescare una serie di errori rovinando definitivamente l’azione.
3. Il fucile fa la differenza? Fino ad un certo punto
Ha senso modificare la conformazione del fucile, ma solo se la base è sbagliata. Quando l’arma è armonizzata in funzione della propria struttura fisica, il calcio segue le conformazioni anatomiche e sono state scelte accuratamente cartucce e strozzature… ci siamo.
Se un tiratore fatica a migliorarsi non deve accusare il suo strumento tecnico. Piuttosto deve lavorare su se stesso.
Le difficili esperienze a Cinque Cerchi, le gioie ai mondiali…
Le olimpiadi sono molto affascinanti, anche se il mio passato in queste competizioni è contornato da episodi abbastanza negativi.
A Sydney 2000 arrivavo da campione del mondo, ma ero ancora acerbo ed inesperto. Penso che seguendo una convinzione sbagliata decisi di cambiare la mia routine, invece di seguire la mia indole. In quel modo tutte le mie abitudini si sono modificate: ero sì competitivo, ma non abbastanza. Non andò bene.
Ad Atene feci buone prestazioni, non raggiungendo per poco la finale. A Londra 2012 ero pronto. Ero in forma e gli allenamenti mi davano ragione. Poi qualcosa si ruppe: il calcio.
Ricordo che ero al campo di Padova, poco prima della partenza per il Regno Unito. Mi fermai per prendere un caffè, ma al ritorno trovai il calcio rotto. Non c’era nessuno, quindi la rottura potrebbe essere dipesa dal caldo, o da una crepa… non so.
Ma questo incidente mi diede grandi problemi. Non riuscii a preparare in tempo un nuovo calcio (in agosto le aziende sono chiuse) e andai a Londra con quello che avevo. Non feci bene, la mia testa era piena di dubbi. E i dubbi sono il nemico numero uno del tiratore.
Ho assaporato anche grandi gioie in pedana. Il primo mondiale che vinsi, nel 1999 in Finlandia, è indimenticabile. Era un testa a testa in finale ed ero alcuni piattelli avanti al secondo. Mancava mezza serie, poi un colpo di vento mi fece cadere la lente a contatto dell’occhio sinistro!
Mi sono detto: “E adesso?”.
Sparai una coppia, e andò benissimo. Quindi continuai la gara così, andando fino in fondo. Fino alla medaglia.
… e la felicità di un formatore
È poco tempo che faccio l’istruttore e l’allenatore, ma mi sto appassionando. Tra i ricordi più belli c’è la collaborazione con Ray Bassil, tiratrice libanese di talento, che ho preparato in vista delle olimpiadi di Rio. Lei in due anni ha scalato la classifica, arrivando prima nel ranking mondiale e restando in vetta per alcuni mesi. È stata una grande soddisfazione.
Le nostre strade si sono purtroppo divise. Ad un certo punto ho dovuto fare una scelta e ho deciso di rimanere in Italia e dedicarmi al gruppo sportivo della polizia. Ma conserverò sempre l’adrenalina di questa bella esperienza.
Il segreto per creare la propria routine?
In definitiva, torno al titolo del mio intervento: cosa deve fare un neofita? Provare, provare, provare. Tutte le discipline e sempre al fianco di un bravo istruttore creando poi in base alla propria esperienza una personale routine vincente.
Autore
Daniele di Spigno
Tiratore
Originario di Terracina, classe 1974, è stato uno dei tiratori di punta gruppo sportivo della Polizia di Stato. Avvicinatosi al tiro a volo all’età di 15 anni seguendo le orme del padre Germano, dal 1992 si è dedicato anima e cuore alla specialità del Double Trap arrivando a conquistare quattro titoli di campione del mondo, due come junior e due come senior, ed a rappresentare l’Italia in quattro edizioni dei Giochi Olimpici, da Sydney 2000 a Londra 2012. Attualmente è stato eletto come Componente della Commissione Atleti della ISSF, Federazione Internazionale degli sport di tiro.
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