La mia prima “fucilata”? Avevo 7 anni. Sono cresciuto sulle pedane, accompagnando mio papà alle gare (Bruno Rossetti, campione olimpico a Barcellona 1992, nda). Prima di iniziare a sparare, però, praticavo altri sport. In primis tennis e calcio, attività di cui sono ancora un grande appassionato. Non il tiro a volo.
Nonostante provenga da una famiglia vicina ai campi di tiro, non sono stato spronato dai miei genitori ad imbracciare un fucile. Anzi, mio padre non ha mai voluto indirizzarmi e mi ha lasciato libero di scegliere.
La passione per il tiro a volo è venuta così per caso, quando un giorno ho sentito una sensazione dentro che mi spingeva a tentare. Un desiderio. E ho chiesto consiglio… a mia madre! È proprio grazie a lei che mi sono avvicinato alla disciplina.
Penso che il tiro a volo sia comunque uno sport aperto a tutti, e tutti dovrebbero anche solo provarlo. Specie se si è giovani. Per me il fucile è come una racchetta da tennis, è un attrezzo sportivo… ma rimane pur sempre un’arma: quindi impugnarla fa sì che ragazzi e adolescenti crescano con un forte senso di responsabilità. È una maturazione importante.
Il tiro a volo aiuta a formare la propria personalità e non è del tutto vero il teorema del “campioni si nasce”: il talento, vero, fa fare tanta strada, ma bisogna lavorare sodo per raggiungere certi obiettivi.
Ho vinto molto nello skeet, ma pratico ogni disciplina. Credo che comunque ogni tiratore scopre una sua specialità “regina”, quella che gli fa battere il cuore più delle altre.
“E per migliorarsi cosa dobbiamo fare?” Amare le sfide. Vi racconto la mia storia in pochi minuti.
Gabriele Rossetti
Tiratore
26 anni, toscano, è stato introdotto al tiro a volo dal padre Bruno Rossetti, bronzo olimpico nel 92. Medaglia d’oro ai Giochi olimpici di Rio de Janeiro 2016 nello skeet e ai campionati del Mondo di Mosca del 2017.
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