Il 99,9% dei tiratori non parteciperà mai ad un’olimpiade. La competizione a cinque cerchi è quindi il desiderio di tutti noi e mi riempie di orgoglio essere nella squadra olimpica. Prima a Rio, poi a Tokyo.
Ad un evento così importante mi preparo con gioia, vivendo “bene” l’attesa. Quando il sogno di bambino si trasforma in obiettivo raggiunto non ci sono stress, ansie o tensioni. Non sento il peso di essere campione medagliato: è una gara come le altre e come tale va affrontata. Perché è prima di tutto un momento di festa.

A Rio mi sono preparato, con mio padre Bruno e con Andrea Benelli, focalizzandomi sulla consapevolezza di chi sono e delle mie capacità. E del fatto che si può vincere e si può perdere. Quel che conta è dare il massimo e divertirsi. Ecco, senza divertimento non ha senso gareggiare.
Ricordo infatti cosa accadde proprio a Rio. Il primo giorno mi trovavo a metà classifica assieme al campione in carica Vincent Hancock. A fine turno ci siamo guardati quasi stupiti. Il secondo giorno sono sceso in pedana dicendomi che quella era una nuova occasione olimpica e volevo godermela fino in fondo. È forse questa mentalità che mi ha fatto vincere.

Sono un tiratore abituato al recupero: molte volte ho iniziato una gara “così così” per poi finire in bellezza.
Il mio futuro? Non nego che vorrei allenare. Già mi impegno a dare consigli ai giovani che stanno muovendo i primi passi sui campi di tiro e sono sempre a loro disposizione. Vorrei mettere la mia esperienza al servizio degli altri.

Gabriele Rossetti
Tiratore
26 anni, toscano, è stato introdotto al tiro a volo dal padre Bruno Rossetti, bronzo olimpico nel 92. Medaglia d’oro ai Giochi olimpici di Rio de Janeiro 2016 nello skeet e ai campionati del Mondo di Mosca del 2017.
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